La questione meridionale: cosa significa?

Con l’espressione (ormai diventata in un certo senso un luogo comune molto utilizzato nel linguaggio moderno) questione meridionale, si vuole in un certo qual modo indicare l’evidente stato di arretratezza economica delle regioni del meridione d’Italia nei confronti di quelle del Nord e, se proprio vogliamo cercare di darle una collocazione nel tempo, si può dire che essa fu utilizzata per la prima volta nel 1873 dal deputato radicale Antonio Billa durante un meeting che aveva come oggetto per l’appunto la disastrosa situazione economica del Mezzogiorno d’Italia.

Si calcola che ancora oggi il P.I.L. (prodotto interno lordo) pro capite nel Meridione d’Italia sia nettamente inferiore sia a quello del Centro che a quello del Nord; il Sud infatti si attesta sui 19.000 € lordi di reddito annuale pro capite, il Centro viaggia più o meno su una media di circa 32.000 €, mentre addirittura al Nord si sfiorano i 36.000 €, differenze che sono ormai ultra evidenti agli occhi di tutti.

Contesto storico e politico dell’Italia di fine ottocento

Se retrocediamo per un attimo al 1861, non possiamo non osservare che a quei tempi non c’erano grosse differenze tra Settentrione e Meridione d’Italia anzi; la Reali Ferriere ed Officine di Mongiana, grosso impianto siderurgico situato in Calabria, era considerato un complesso industriale molto più avanzato se paragonato ad un suo simile del Nord, tanto da guadagnarsi il riconoscimento come una tra le 5 industrie siderurgiche più grandi e sviluppate d’Europa. Poi con l’unità d’Italia tutto questo cambiò radicalmente.

In seguito all’unità nazionale, ovvero verso la fine dell’ottocento, iniziò un grande processo di industrializzazione a livello europeo, processo che però interessò unicamente le regioni del Nord, che godevano dei favori e dei sovvenzionamenti del governo, che non solo finanziava gli imprenditori settentrionali, ma si adoperava molto attivamente anche per bloccare sul nascere qualsiasi realtà industriale nascente del Meridione, tanto per non creare eventuali competizioni. L’assenza dello Stato e la conseguente miseria fecero sprofondare il Mezzogiorno d’Italia in una profonda crisi economica dalla quale, anche per tutta una serie di altri fattori collegati, non è mai più riuscito a venire fuori.

La situazione economica ed il fenomeno del brigantaggio

emigranti

Il primo periodo postunitario fece registrare, come già accennato, un costante e progressivo distanziamento tra Nord e Sud, ed il governo non solo deluse le aspettative di molti imprenditori, artigiani, commercianti ed agricoltori del Mezzogiorno, ma iniziò proprio a disinteressarsi di quelle zone, allontanandosi sempre più ed abbandonandole totalmente ad uno stato di miseria e povertà che, inevitabilmente, sfociò in fenomeni spiacevoli e criminosi come quelli del brigantaggio e della guerra civile.

Già in epoca garibaldina al Sud nacquero delle bande di sovversivi e briganti di ogni genere; ex soldati delle truppe borboniche, lavoratori disperati e ridotti alla fame, ed addirittura alcuni ‘pentiti’ appartenenti alle truppe dalle ‘giubbe rosse’, aderirono subito a questi gruppi di banditi, fenomeno invece totalmente assente al Nord, dove le cose venivano affrontate in modo diverso e con la tranquillità di avere sempre un ‘salvagente’ chiamato governo pronto a gonfiarsi quando richiesto, ma solo per i settentrionali.

Franchetti, Sonnino, e la nascita della questione meridionale

Circa un decennio dopo l’unità d’Italia, più o meno nel 1875, le cose non accennavano affatto a cambiare, facendo anzi registrare grossi peggioramenti sotto il punto di vista dell’ordine pubblico in tutto il Meridione d’Italia, tanto da portare il governo a richiedere ufficialmente in Parlamento l’adozione di misure straordinarie di sicurezza per cercare almeno di arginare un po’ il fenomeno; la decisione se approvare tale proposta o no dipendeva da un’indagine sulle condizioni socio-economiche di una regione presa a campione (la Sicilia) che fu fatta, ma mai realmente presa in considerazione né dai politici né dalla stessa opinione pubblica.

Fu soltanto nel 1877, grazie ai professori universitari Leopoldo Franchetti e Sydney Sonnino, che l’opinione pubblica cominciò a porsi il problema della questione meridionale; nella loro pubblicazione Inchiesta in Sicilia infatti, i due politici ed economisti nonché esponenti della destra storica, richiamarono l’attenzione sull’eccessiva durezza delle condizioni di vita in alcune regioni del Sud, aprendo anche i dolorosi capitoli dello sfruttamento minorile e del lavoro nero visti come conseguenza logica di un impoverimento sempre più soffocante.

Ripercussioni della questione meridionale sulla popolazione

Non vi è alcun dubbio che questo fenomeno assunse ben presto i connotati di una vera e propria guerra civile, con tanto di schieramenti di truppe governative sul territorio proprio per contenere tentativi di sommosse o atti di brigantaggio; ben 120.000 soldati circa furono sparpagliati nelle provincie meridionali più ‘calde’, e gli scontri furono molto violenti e sanguinosi.

Come spesso succede, i tentativi di ribellioni o sommosse popolari alla fine vedono sempre un solo vero sconfitto, il popolo. In pratica c’erano i ribelli saccheggiatori a loro volta perseguiti dall’esercito, i cui soldati non perdevano però l’occasione di continuare, appena si presentava loro la possibilità, il saccheggio e la distruzione degli edifici, e qualche ‘esecuzione ingiustificata’. Al giorno d’oggi tutto ciò ancora si respira e si può toccare con mano; carenza di infrastrutture, ritardi mostruosi nella pubblica amministrazione, ed uno Stato che, checchè se ne dica, continua ad essere assente e inoperoso nei confronti delle ataviche problematiche del Mezzogiorno d’Italia, sono sempre lì sotto gli occhi di tutti…e forza Italia a tutti!!!